Rob Wallace*, in un articolo elaborato per The Ecologist, spiega che la diffusione endemica dell’Ebola nell’Africa Occidentale è correlata al disboscamento, alla deforestazione e alla distruzione dell’agrosilvicoltura tradizionale. L’unica soluzione a lungo termine a questa malattia terribile potrebbe derivare dalla conservazione della foresta, dal recupero dei sistemi agricoli fondati sull’agroecologia e dall’esclusione degli investimenti dell’agrobusiness.

Sembra che il virus dell’Ebola si sia diffuso da diversi anni nell’Africa Occidentale. Il gruppo epidemiologico di Joseph Fair ha trovato degli anticorpi selettivi per molteplici tipi di Ebola, inclusa la variante Zaire che ha fatto partire l’epidemia in alcuni pazienti della Sierra Leone addirittura già cinque anni fa. Analisi filogenetiche nel frattempo hanno mostrato che il tipo Zaire, secondo l’approccio per la datazione Bayesan, esiste da circa dieci anni.

E’ doveroso avere una spiegazione sulle ragioni che hanno portato questo virus a trasformarsi da assassino saltuario della foresta a responsabile di un’infezione pandemica che ha contagiato circa 27000 persone e ucciso circa 11000 in tutta l’area.

Secondo Rob Wallace, una risposta a questo cambiamento poco esplorata in ambito scientifico (con la pregevole eccezione dell’analisi già fatta in precedenza da Richard Kock) è quella che offre una visione che tiene conto del contesto più ampio in cui l’Ebola si è sviluppato nella regione dell’Africa Occidentale. La verità, che in questo caso correla le dinamiche della malattia con l’utilizzo della terra e l’economia globale, viene abitualmente sacrificata a spese del principio dell’interesse economico.
Si è visto che le modifiche strutturali a cui l’Africa Occidentale è andata incontro nel corso degli ultimi dieci anni hanno incluso un disinvestimento nell’ambito delle infrastutture sanitarie che ha permesso all’Ebola di incubare facilmente nella popolazione locale una volta diffusosi. I cambiamenti che hanno interessato l’uso della terra nella Regione della Foresta della Guinea da dove il virus si è diffuso sono anche collegati agli sforzi neoliberali  fatti per far entrare la foresta nei circuiti globali del capitale. Daniel Bausch e Lara Schwarz hanno caratterizzato quest’area, dove è emerso il virus, come un mosaico di popolazioni piccole e isolate di diversa origine etnica che detengono un ristretto potere politico e ricevono scarsi investimenti sociali. L’economia e l’ecologia della foresta sono stati e sono logorati dai migliaia di rifugiati che provengono dalle nazioni vicine per sfuggire alle guerre civili.
Tutta la Regione è soggetta sia ad un rapido deterioramento nell’ambito delle infrastrutture pubbliche che agli sforzi concertati neoliberali per promuovere lo sviluppo privato che porta all’espropriazione dei piccoli terreni e delle aree tradizionalmente battute per la ricerca del cibo a favore dell’attività mineraria, della deforestazione e di un’agricoltura sempre più intensiva.
La zona calda dell’Ebola comprendente una parte della Regione più ampia della Savana della Guinea viene descritta dalla Banca Mondiale come “una delle più vaste riserve di terreno agricolo nel mondo poco sfruttate”. L’Africa ospita il 60% dell’ultima frontiera agricola del mondo. La Banca Mondiale crede che la commercializzazione del mercato possa sviluppare meglio la Savana, se non è unicamente basata sul modello dell’agrobusiness. Secondo i documenti dell’Osservatorio della Matrice del Terreno, questa prospettiva è in procinto di essere concretizzata.
Qui si possono leggere i 90 accordi commerciali stipulati da diverse multinazionali che sostenute dagli USA hanno ottenuto centinaia di migliaia di ettari per le colture di esportazione, per la produzione di biocarburanti e per ricavare le miniere di tutto il mondo, tra cui quelle che interessato la regione dell’Africa sub-sahariana . Il database online dell’Osservatorio mostra analoghe trattative sui terreni perseguite da altre potenze mondiali, tra cui il Regno Unito , la Francia e la Cina. Sotto il governo della Guinea di recente diventato democrazia, il Farm Land of Guinea Limited, sostenuto dal Nevada e precedentemente dal Regno Unito, ha garantito contratti di locazione lunghi 99 anni per due lotti per un totale di quasi 9.000 ettari fuori dei villaggi di N’Déma e Konindou nella Prefettura di Dabola, dove un epicentro secondario di Ebola si è sviluppato, e 98.000 ettari fuori dal villaggio di Saraya nella Prefettura del Kouroussa. Il ministero dell’Agricoltura ha ora incaricato il Farm Land of Guinea Limited di inventariare e mappare ulteriori 1,5 milioni di ettari per lo sviluppo esterno.
Anche se queste acquisizioni non ancora sviluppate non sono direttamente legate a Ebola, rappresentano comunque indicatori di una complessa fase di cambiamento guidata dalla politica in ambito agroecologico che il gruppo di ricerca di Rob Wallace ipotizza sia in grado di alimentare l’emergenza dell’ Ebola. La tesi di questi ricercatori orbita in modo particolare intorno all’olio di palma.

Boschetti naturali e semi-selvatici di diversi tipi di palma da olio sono stati a lungo fonte di olio di palma rosso nella Regione della Foresta della Guinea. Gli agricoltori delle foreste ne hanno aumentato la produzione da centinaia di anni. Periodi di riposo che permettno ai terreni di recuperare, però, sono state ridotti nel corso del 20° secolo da 20 anni negli anni ’30 a 10 negli anni ’70, e ancora di più nel corso del 2000, con l’effetto aggiuntivo di aumentare la densità dei palmeti. Allo stesso tempo, la produzione semiselvatica è stata sempre di più rimpiazzata da ibridi intensivi, e l’olio rosso di palma è stato, invece, sostituito da, o miscelato con oli industriali e da nocciolo.
Altre piantagioni come il caffè, il cacao e la cola sono anche coltivate. Il riso tagliato e bruciato, il mais, l’ ibisco e rizomi del primo anno, seguiti da arachidi e manioca del secondo e da un successivo periodo di riposo, sono sottoposti a rotazione secondo il modello agroforestale. In sostanza, si è osservato un movimento verso una maggiore intensificazione senza il supporto del capitale privato ma ancora classificabile come agroforestale. Ma anche questo tipo di agricoltura da allora si sta trasformando.

L’Azienda Guineana dell’Olio di Palma e della Gomma (conosciuta con l’acronimo francese SOGUIPAH) ha iniziato a lavorare nella foresta come cooperativa parastatale, ma da allora è cresciuta a tal punto che è meglio definirla una società statale. Sta guidando gli sforzi iniziati nel 2006 finalizzati a promuovere lo sviluppo di piantagioni di ibridi intensivi di palma per potenziare sempre di più l’esportazione delle materie prime. SOGUIPAH ha risparmiato sulla produzione di palma destinata al mercato espropriando con la forza molti terreni agricoli: questo contina ancora oggi a scatenare proteste violente. Gli aiuti internazionali hanno solo accelerato questo processo di industrializzazione: il nuovo mulino di SOGUIPAH, con una capacità quattro volte superiore di quello usato in precedenza, è stato finanziato dalla Banca europea per gli investimenti.

Quale è il nesso tra l’esplosione dell’epidemia dovuta all’Ebola e l’olio di palma?
Secondo Rob Wallace, in genere le aree come quella della Prefettura Guéckédou in Guinea dove sono state impiantate coltivazioni di palme da olio si presentano come un mosaico di villaggi circondati da una vegetazione fitta che si alterna a campi coltivati con palme da olio e chiazze di foresta aperta e foresta vergine rigenerata. Esiste pertanto una zona di contatto sempre più crescente tra gli uomini e i pipistrelli, che agiscono come carrier del virus dell’Ebola: tra questi sono inclusi i pipistrelli a testa di martello, il piccolo pipistrello della frutta da collare e il pipistrello della frutta dalle spalline di Franquet.
Secondo il documento elaborato da Nur Juliani Shafie e i suoi colleghi, i pipistrelli da frutta in confusione vengono attratti dalle piantagioni di palma da olio. A causa della deforestazione, questi uccelli non stupidi, migrano verso aree alternative, quali gli stessi campi coltivati con palme da olio, alla ricerca di cibo e di un rifugio dal calore. I sentieri spaziosi che si sviluppano lungo queste piantagioni agevolano i movimenti dei pipistrelli tra zone di appoggio e zone dove approvigionarsi di cibo. La caccia di carne nella foresta e tra i cespugli e la macellazione sono le condizioni che potrebbero aver dato luogo alla successiva trasmissione del virus.

Almudena Marí Saéz e i suoi collaboratori hanno ipotizzato che la diffusione del virus dell’Ebola sia avvenuta inizialmente fuori Meliandou (nella Prefettura di Guéckédou) quando i bambini, anche quelli che rientrano nel primo caso di esplosione della malattia, giocavano con i pipistrelli senza coda angolani sugli alberi locali. Secondo studi precedenti questo tipo di pipistrello era già migrato verso altre coltivazioni ad alto reddito sviluppatesi nell’Africa occidentale, come per esempio quelle di canna da zucchero, del cotone e degli alberi di macadamia. In altre aree del mondo, invece, come in Bangladesh, i pipistrelli hanno trasmesso all’uomo il virus Nipah perchè urinavano sui frutti di dattero coltivati localmente.

A prescindere da quale sia stato il bacino di diffusione, sembra che questi spostamenti verso lo sviluppo agricolo intensivo abbiano giocato un ruolo importante nello sviluppo di questa epidemia. Infatti, tutti i casi di esplosione dell’epidemia sembrano essere riconducibili a decisioni legate allo sfruttamento della terra motivate da ragioni capitalistiche: nel 1976, in Nzara (Sudan) si verificò la prima diffusione all’interno di un’azienda tessile finanziata dalla Gran Bretagna dedita alla lavorazione del cotone locale. Quando nel 1972 la guerra civile terminò, l’area subì una rapida ripopolazione e gran parte della foresta pluviale locale (e dell’ecologia dei pipistrelli) vennero rimaneggiati a favore dell’agricoltura di sussistenza, segnando il ritorno del cotone come piantagione ad alto rendimento.

Chiaramente questo tipo di epidemia non riguarda soltanto specifiche industrie. Dagli esperimenti condotti in collaborazione con Luke Bergmann dell’Universtià di Washington si è cercato di capire in che modo il circuito del capitale da cui dipendono l’allevamento e lo sfuttamento della terra possa essere correlato all’emergenza sanitaria della malattia.
Dalle mappe elaborate da Holmber e Bergmann, non ancora ultimate, si evince a quanto ammonta la percentuale di terra i cui raccolti sono consumati all’estero sottoforma di prodotti agricoli o servizi e beni industriali per i terreni coltivabili o usati per il pascolo e le foreste. Queste mappe mostrano che i vari paesaggi sono stati globalizzati dai circuiti del capitale. In questo modo, la fonte di una malattia potrebbe essere molto di più che la sola nazione nella quale questa si è manifestata per la prima volta. Andrebbe identificato chi ha finanziato e con chi è iniziato lo sviluppo e la successiva deforestazione. Bisognerebbe condurre un’indagine epidemiologica per capire se luoghi, come New York, Londra e Hong Kong, luoghi strategici del capitale, possano essere ritenuti “zone calde” della malattia. Come riportato nell’articolo scritto da Rob Wallace e Luke Bergmann, le malattie sono strettamente correlate al contesto geografico in cui si sviluppano, e non sono riconducibili ad un unico posto in assoluto.

In maniera simile, questo nuovo approccio fa decadere la netta dicotomia tra la necessità di risposte di emergenza e il bisogno di intraprendere interventi più strutturali. Alcuni disonesti nonostante riconoscano la presenza di problematiche globali strutturali tendono ancora a focalizzarsi sulla logistica da cui dipende l’intervento immediato in presenza di qualsiasi esplosione epidemica che si possa manifestare. Ovviamente risposte di emergenza, in questo caso, sono necessarie. Ma abbiamo bisogno di riconoscere che l’emergenza scaturisce da questioni più strutturali. Di sicuro, tali interventi immediati vengono usati come strumenti per evitare di parlare del quadro più grande in cui si scatena l’emergenza delle nuove malattie.

Rob Wallace conclude che da tempo si sa che si può portare l’esplosione di un’epidemia sotto la soglia di Allee di un’infezione: questo principio stabilisce che attraverso un vaccino o delle pratiche sanitarie un’esplosione epidemica, non trovando abbastanza elementi sensibili, può esaurirsi da sola. La mercificazione della foresta può aver abbassato la soglia ecosistemica ad un punto tale in cui nessun intervento di emergenza ha potuto contenere l’esplosione del virus dell’Ebola in modo da lasciarla consumare da sola. Il virus continua a circolare con il potenziale di poter nuovamente esplodere.

I cambiamenti strutturali del neoliberalismo non sono solo il contesto nel quale l’emergenza dell’Ebola ha avuto luogo. Questi cambiamenti rappresentano l’emergenza tanto quanto il virus stesso.
I cambiamenti improvvisi [neoliberali] che hanno riguardato lo sfruttamento della terra potrebbero spiegare l’emergenza dell’Ebola. Sotto certe condizioni, la foresta può agire come una forma di protezione epidemiologica di se stessa. Rischeremo un’altra pandemia mortale quando distruggeremo questa capacità.
*un biologo evoluzionistico e filogeografo della salute pubblica. Attualmente è ospite presso l’Istituto degli Studi Globali dell’Universtià del Minnesota

[Fonte:The Ecologist;Autore foto: UNMEER/Martine Perrel. “Unità di trattamento dell’Ebola in N’zerekore” Licenza Attribution-NoDerivs 2.0 Generic. Non per uso commerciale]