“E’ chiaro a tutti che il modello biologico è sotto attacco feroce e preordinato, con argomentazioni più rabbiose che scientifiche, risentite per un successo conferito prima di tutto dai consumatori e dal mercato che l’agricoltura biotech non ha mai neanche sfiorato. Le nuove decisioni in tema di affidamento dei fondi della Ricerca, purtroppo, confermano un atteggiamento timido da parte della politica”.

Vincenzo Vizioli, presidente di AIAB, scrive al sottosegretario Manzato e agli uffici del ministero rilevando le numerose incongruenze rispetto a quanto previsto dal Piano Strategico Nazionale per l’agricoltura biologica, con specifico riferimento all’azione sulla ricerca,  e discusso nel Comitato permanente di coordinamento per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica istituito presso il Mipaaft, che ha compiti di indirizzo.

Dopo una lunga gestazione durata tre anni sono stati finalmente liberati i fondi accumulati per la ricerca per l’agricoltura biologica derivati dalla “tassa sui pesticidi”, per oltre 6 milioni di euro. In realtà il gettito di questo fondo sarebbe ben superiore, circa 10 milioni di euro l’anno, ma per le sue finalità ne viene messa a disposizione dal tesoro solo una piccola parte.

Questi fondi sono andati per oltre la metà agli Enti ministeriali CREA e ISMEA con affidamento diretto e i restanti 3 milioni sono andati a bando destinato alle Università.
“Sebbene l’affidamento diretto – dice Vizioli – sia previsto da un decreto ministeriale, AIAB contesta il fatto che nessuno abbia ancora comunicato quali sono i temi di ricerca affidati, una nebulosità che ci fa lecitamente chiedere quanto di questi fondi sia destinato alla ricerca e con quali prospettive di ricaduta sul settore e quanto vada invece a sostegno diretto degli Enti. Inoltre, viene totalmente disatteso il principio della Ricerca partecipata, indicato sia dal Piano Strategico Nazionale sia dal Comitato permanente, essendo la partecipazione degli operatori praticamente inesistente”.

Sui bandi AIAB contesta inoltre: la solita schiacciante burocrazia, i tempi troppo stretti per una buona progettazione (14 novembre-29 dicembre); la mancata concessione della proroga richiesta dalle Università che stavano lavorando sulla progettazione; l’assurda esclusione di chi ha già fatto ricerca nel bio e di contro l’apertura a chi di biologico non si è mai interessato; la banalizzazione del concetto di ricerca partecipata (attraverso la possibilità di coinvolgere anche una sola azienda); la mancata comunicazione al Comitato di chi ha presentato i progetti e di chi li valuterà.
Infine, “è stata totalmente ignorata – scrive Vizioli – la richiesta di inserire tra i temi prioritari il Piano sementiero nazionale per l’agricoltura biologica e biodinamica, di cui più volte è stata sollecitata la necessità e l’importanza strategica, al Tavolo tecnico, al Comitato, al precedente governo e a quello attuale.

Vizioli chiude la sua lettera chiedendo che venga fatta una riflessione seria sulla gestione attuale e sul percorso da seguire in futuro prendendo in considerazione alcuni punti fondamentali:

  • i capofila non devono essere pubblici a titolo esclusivo;
  • i partecipanti ai progetti di ricerca non devono essere discriminati per aver lavorato sul biologico;
  • i partenariati devono essere effettivamente multiattoriali e non con mera adesione ‘pro-bono’ di (almeno) un produttore;
  • le disponibilità economiche devono essere ampliate, magari dedicando l’intera dotazione del fondo;
  • l’affidamento diretto al CREA, che potrà essere coinvolto anche in altri progetti dai soggetti attuatori, deve essere circoscritto a non più del 30% dei fondi e solo per supporto alle politiche europee di settore e affiancamento dell’Amministrazione su tavoli europei.

“Le associazioni che lavorano da anni nel settore, alcune aziende pilota – conclude Vizioli – non possono essere utilizzate come surrogato della partecipazione, con ‘cooptazioni’ postume a tavoli, su cui si attingono informazioni che poi magari servono a dare legittimazione a decisioni prese. Sicuramente la ricerca scientifica a sostegno di un modello innovativo di agricoltura è la migliore risposta che si possa dare al mondo che sta cambiando e ai cittadini che chiedono orientamenti diversi da quelli attuati fino ad ora. Ma questa ricerca va sostenuta e indirizzata, diversamente da quanto fin qui accaduto”.