di Vincenzo Vizioli
Il decreto controlli, approvato il 31 gennaio scorso dal Mipaaf con l’obiettivo di tutelare maggiormente il consumatore ma anche i produttori onesti, ha indubbiamente il merito di raccogliere in una sola legge quadro le norme per il controllo e la certificazione dei processi produttivi biologici. Questi sono parte integrante di un sistema produttivo che si presenta ai consumatori non solo con disciplinari sul metodo di produzione, a tutela della loro salute e dell’ambiente, ma anche con la garanzia della certificazione, offerta proprio dal sistema di controllo previsto dallo stesso regolamento.Il settore è enormemente cresciuto, muove interessi economici significativi, ed era giusto intervenire per migliorare norme pensate quando si lavorava su numeri decisamente più piccoli.
Ci eravamo già espressi positivamente sulla bozza di decreto anche se avevamo rilevato alcune criticità che auspicavamo fossero chiarite nel decreto definitivo e, prima di questo, con un confronto con tutti gli attori, che però non c’è mai stato. Una di queste, cioè la rotazione dell’organismo di controllo ogni 5 anni, ritenuta, non solo da noi, impraticabile, onerosa e ingiustificata, è stata eliminata. Non altrettanto possiamo dire di altri passaggi che i decreti attuativi dovranno, se possibile, chiarire.
In primis il ruolo della vigilanza affidata a tre enti: i Carabinieri del corpo forestale, l’ICRQF (l’ex repressione frodi) e le Regioni. Per tutti è necessario fare chiarezza su compiti e ruoli per evitare sovrapposizioni e appesantimenti per le aziende. Resta forte il dubbio sulle Regioni, fino a oggi il buco nero della vigilanza, dato che molte non sono state affatto in grado di svolgerne i compiti, in termini di capacità, risorse investite, organizzazione e competenze dedicate. Da chiarire anche il ruolo di Accredia, organismo indicato dal Ministero per il riconoscimento, l’accreditamento e l’adeguamento delle procedure degli Organismo di Controllo.
Il sistema sanzionatorio è il cuore del decreto, secondo la logica condivisibile del “chi sbaglia paga”, che sarebbe interessante applicare anche in altri modelli agricoli fino a oggi intoccabili, ma in certi passaggi, sembra eccessivo e vessatorio, verso gli operatori e i tecnici ispettori che possono anche sbagliare senza dolo e gli stessi dirigenti degli OdC.
La sensazione è che prima di un ragionato intervento sul settore, si sia voluto dare un segnale rispetto al servizio mandato in onda, nell’ottobre del 2016, da Rai 3 nel programma Report.
Molto importante invece la creazione di una banca dati pubblica sulle transazioni, che azzera finalmente i sistemi informatici privati che volevano guadagnare sugli operatori e sugli organismi di controllo e certificazione, che hanno già correttamente inglobato i costi di questo strumento nelle loro attività ispettive. Speriamo però che non funzioni come il sistema informatico di AGEA, che tanti danni ha già fatto a tutto il sistema agricolo.
Quello che andrebbe messo in chiaro è che gli Organismi di Controllo non sono l’unico parafulmine su cui scaricare tutte le colpe. Certamente, per stessa ammissione degli Enti di controllo, c’è tanto da migliorare ma altrettanto certamente c’è da comunicare al consumatore che, diversamente da qualsiasi altro sistema produttivo, il controllo e la certificazione sono un ulteriore valore che il biologico offre.
Riteniamo quindi necessario che prima i licenziare i decreti attuativi si apra un confronto con tutte le parti in causa per una necessaria armonizzazione anche perché, non bisogna dimenticare, che il settore biologico, oltre ad essere sottoposto a tutti i controlli dell’agricoltura generale, ha in aggiunta quelli previsti dal regolamento UE, che sono peraltro a pagamento (e non certo per scelta dei produttori). Insomma, la morale è che chi pratica agricoltura pulita deve pagare per dimostrarlo, chi avvelena l’ambiente invece no.
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