E’ fresco di pubblicazione (lo scorso 20 Aprile) sul Nature Geoscience un articolo scientifico relativo ad un studio significativo che mette in relazione la capacità delle piante di catturare l’anidride carbonica atmosferica e la sempre più crescente perdita di nutrienti a cui il suolo sta andando incontro.
La ricerca è stata condotta presso l’Università di Montana dal Professore Associato di Bioagrochimica, Cory C. Cleveland e dal suo studente di Dottorato, Bill Smith, in collaborazione con i partners dell’Università del Colorado, William R. Wieder e dell’Università dell’ Oklahoma, Katherine Todd-Brown.
Come dimostrato da diversi studi, basati sui classici modelli che misurano i cambiamenti climatici, la quantità di CO2 che le piante sono in grado di assorbire è in grado di accellerare la crescita delle stesse piante espletando un’azione definita “fertilizzante”. In questo modo, la deplezione graduale di CO2 dall’atmosfera rallenterebbe gli inesorabili cambiamenti climatici in corso sulla Terra.
Partendo da questi risultati, il team di Montana suggerisce che non si può trascurare l’effetto negativo che la scarsità dei nutrienti del suolo esercita sullo sviluppo delle piante perchè come lui stesso afferma: “La CO2 non rappresenta l’unico fattore a determinare la crescita delle piante. I nutrienti del suolo, soprattutto azoto e fosforo, svolgono un ruolo critico. Poichè il rifornimento di questi nutrienti è limitato, gli scienziati hanno segnalato che la crescita delle piante risulterà essere inferiore di quella prevista dai classici modelli climatici”. E aggiunge: “Se la società odierna dovesse continuare ad emettere CO2 nell’atmosferea con lo stesso andamento avuto fino ad ora e la velocità di crescita delle piante non dovesse aumentare così come indicano i modelli climatici, l’effetto, entro la fine del secolo, potrebbe essere più estremo di quanto noi prediciamo”. Cleveland e il suo gruppo, ritengono, infatti, che entro il 2100, a dispetto delle attese, ci potrebbe essere nell’atmosfera più di un ulteriore 10% di CO2 che favorirebbe, di conseguenza, l’accellerazione dei cambiamenti climatici .
Dall’analisi di 11 diversi modelli nei quali sono state incluse le variazioni di concentrazione dell’azoto e del fosforo nel suolo di alcune specifiche aree geografiche, Cleveland e i suoi collaboratori hanno osservato che limitare la concentrazione di azoto nel terreno riduce l’uptake di CO2 da parte delle piante del 19%, mentre contenere contemporaneamente le concentrazioni dell’ azoto e del fosforo porta a un decremento superiore pari al 25%.
Come mai, allora, fino ad ora, non sono stai sviluppati dei modelli che tenessero conto dell’incidenza dei nutrienti sulla capacità delle piante di aiutare o meno il nostro pianeta? Cleveland spiega che la scelta di omettere questo aspetto scaturisce dalla difficoltà di simulare questo tipo di processi biogeochimici e dall’elevata variabilità che si osserva negli stessi spostandosi da un ecosistema all’altro.
Inoltre, l’esperimento ha evidenziato, secondo quanto racconta Cleveland, che: “La biosfera invece che agire come una sorta di lavandino di carbonio in grado di ridurre il livello di CO2 atmosferico, potrebbe, al contrario, diventare una vera e propria fonte di gas serra per l’atmosfera entro la fine del secolo, con i microbi del suolo che rilasciano più carbonio di quello che le piante potrebbero assorbire”.
Molte incertezze ci sono ancora su come esattamente questi microbi (che da una parte liberano azoto nel suolo, dall’altra rilasciano CO2 nell’atmosfera) potrebbero rispondere all’innalzamento della temperatura terrestre e sull’ efficienza con cui le piante assorbirebbero i nutrienti dal suolo.
In conclusione, Wieder con il suo commento offre una prospettiva futura davvero preoccupante se si considera l’avanzante processo di impoverimento dei nutrienti che sta drammaticamente interessando i suoli del nostro pianeta: “Per immagazzinare carbonio sulla terra, le piante avranno bisogno di più azoto e fosforo. Qualora queste non riuscissero ad approvigionarsene, dall’avere ecosistemi terrestri in grado di impregnarsi di CO2 atmosferica ci sposteremmo verso una situazione caratterizzata da ecosistemi che, contribuirebbero al problema (del cambiamanto climatico)”.
Qui è disponibile l’abstract dell’articolo scientifico.
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