Diverse grandi e piccole organizzazioni ambientaliste e agricole si stanno battendo da sempre a livello internazionale (si veda, ad esempio, il lavoro di Greenpeace in calce) per contrastare il declino che sta interessando dagli anni ’90 le colonie di api diffuse su tutto il territorio europeo e statunitense. Le api svolgono un ruolo chiave nel mantenimento dell’equilibrio degli ecosistemi ma anche nell’ambito della produzione agricola. Pensate che un terzo del cibo che mangiamo deriva dalla impollinazione, effettuata soprattutto dalle api.
Diverse indagini epidemiologiche nei paesi industrializzati hanno individuato un collegamento tra questo drastico depauperamento delle popolazioni di api e l’utilizzo in ambito agricolo di insetticidi, quali i neonicotinoidi.
I neonicotinoidi rappresentano una classe di pesticidi introdotti negli anni ’90 come sostituti definiti sicuri del DDT, dotati di una struttura chimica derivante da quella della nicotina. Il primo dicembre del 2013 l’UE ha sancito il divieto di utilizzo per due anni di tre derivati neonicotinoidi, la clothianidin e l’ imidacloprid (prodotti dalla tedesca Bayer) e il thiamethoxam (prodotto dalla svizzera Syngenta), su alcune colture da fiore, come la colza. Questo provvedimento ha scatenato, da una parte, la rabbia degli ambientalisti che ritengono che il divieto debba diventare permanente, essere esteso a tutti i tipi di coltura e includere anche gli altri pesticidi ritenuti tossici per gli ecosistemi; dall’altra, ha suscitato la disapprovazione di alcuni governi, tra cui la Gran Bretagna, che reputano questa decisione non supportata da adeguati esperimenti scientifici., perchè condotti semplicisticamnete sotto le cappe di laboratorio e non direttamente in campo.
Sono state raccolte nel frattempo evidenze scientifiche più significative che dimostrino l’azione tossica di questi prodotti chimici sulle popolazioni delle api? Due studi recentissimi, uno svedese e l’altro inglese, pubblicati quest’anno sul Nature, provano a fornire una risposta a questa domanda.
Il primo, condotto presso l’Università svedese di Lund, sembra proprio riscontrare un collegamento diretto tra l’uso di neonicotinoidi e la riduzione delle api selvatiche.
Si è basato sul confronto tra la vita di questi insetti in 16 diversi terreni destinati alla coltivazione della colza, seminati per metà con semi trattati con l’insetticida Elado della Bayer (contentente neonicotinoidi) e per metà con semi non trattati.
Come afferma Maj Rundlöf, il leader del progetto: “I bombi e le api solitarie sono risultati molto meno abbondanti nei campi trattati, con un numero di bombi addirittura dimezzato. A mio parere, ritengo che si tratti di cali estremamente importanti”. Anche se le api da miele hanno dimostrato una maggiore resistenza, risentendo meno degli effetti dei pesticidi.
Il professore biologo esperto di api, David Goulson, dell’Università del Sussex ha commentato: “Questo è il primo studio realistico condotto direttamente in campo fatto fino ad ora, un esperimento ben riproducibile, un lavoro impressionante….Perciò non è più possibile ammettere che l’uso in ambito agricolo di neonicotinoidi non abbia un impatto negativo sulla vita delle api selvatiche.”
Il secondo studio, invece, viene dalla Università di Newcastle. E’ stato dimostrato che api e bombi non sono in grado di avvertire la presenza di neonicotinoidi nel nettare. Dovendo scegliere, le api preferiscono consumare soluzioni zuccherine con concentrazioni basse di neonicotinoidi piuttosto che quelle non contaminate: probabilmente perchè questi insetticidi, aventi una struttura simil-nicotina, esercitano un’azione farmacologica specifica sulle cellule cerebrali delle api, coinvolte nel meccanismo della”ricompensa”.
Il responsabile di progetto, Geraldine Wright afferma: “Le api hanno imparato rapidamente a individuare le soluzioni in cui si trovano questi insetticidi suscitando in loro un ronzio. Se le api alla ricerca di cibo preferiscono suggere il nettare contenente neonicotinoidi, questo potrebbe portare a ripercussioni negative a catena sulle intere colonie e sulle popolazioni di api”
L’ obiettività di questi ristultati scientifici conferisce più forza alle ragioni della ostinata lotta contro l’uso di insetticidi-killer per le api, dalle cui vendite i vari colossi dell’ agro-industria (tra cui Bayer e Syngenta) ricavano ogni anno circa 2 miliardi di dollari.
Non sono mancati i commenti del portavoce di una di queste aziende. Julian Little della Bayer CropScience ha dichiarato, infatti: “Nel complesso, le descrizioni del metodo applicato e dei risultati riportati [nel primo studio] non sembrano avvallare le conclusioni che il trattamento dei semi di colza con i neonicotinoidi influisca in qualche modo sulle api selvatiche”.
Qui si può scaricare il rapporto in inglese basato sull’analisi di circa 800 diverse pubblicazioni scientifiche da parte di 29 scienziati che mette in luce gli effetti dei neonicotinoidi sulla biodiversità e sui vari ecosistemi.
E’ stato pubblicato a Gennaio 2015 sulla rivista Environmental Science and Pollution Research.
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