Stand Up Speak Up_Le organizzazioni ambientaliste – si sa – non sempre attirano su di sé consensi e sostegno; anzi, talvolta possono risultare scomode realtà che, semplicemente, “danno fastidio” e che può essere opportuno osteggiare e mettere a tacere. E in certi contesti si può arrivare più facilmente a tale obiettivo. È questo il caso – quantomeno secondo la denuncia degli attori in causa – di Greenpeace India.

Durissime le dichiarazioni rilasciate dall’organizzazione non governativa: senza giri di parole viene detto che il Primo Ministro indiano Narendra Modi ha bloccato i finanziamenti stranieri di Greenpeace India e limitato alcune sue attività, a quanto sembra, perché «il gruppo ambientalista ha violato le regole che disciplinano le transazioni finanziarie internazionali»; pensiero che, ovviamente, dall’altra parte si smentisce categoricamente.

Ma a prescindere dalla veridicità o meno delle violazioni, è un dato di fatto che anche le donazioni locali, di circa 70-75mila indiani che corrispondono al 70% degli introiti, hanno subito un blocco. Risultato? I fondi non congelati a livello bancario sono sufficienti a garantire lo stipendio allo staff e il pagamento dell’affitto degli uffici solo per un altro mese; passato questo, lo spettro di una chiusura per fallimento è più che mai concreto.

Lotta al potere – Non c’è da fare grosse congetture per capire dove nasce il contenzioso tra lo Stato e l’organizzazione ambientalista. Samit Aich – direttore esecutivo di Greenpeace India – esprime chiaramente come l’operato di Greenpeace cozzi terribilmente con gli interessi corporativi dello Stato, nel modo in cui si vada ad ostacolare gli interessi economici delle grandi aziende: campagne in favore delle energie rinnovabili, i diritti delle comunità locali, la salvaguardia delle foreste e la promozione dell’agricoltura biologica. Tutte questioni che alle compagnie del petrolio, del carbone e dei pesticidi “non sono andate proprio giù”.

È la guerra dei ricchi contro i poveri, dei poteri forti contro la voce del popolo, nessuna novità rispetto alle proteste, le manifestazioni e le campagne che gli ultimi cinquant’anni hanno portato alla ribalta sociale in tutto il pianeta, a partire proprio dal mondo occidentale. Il direttore assicura che questo braccio di ferro continuerà anche nelle aule di tribunale, come già sta succedendo da alcuni mesi in realtà, perché è già qualche tempo che queste manovre di ostruzionismo stanno andando avanti nei confronti di Greenpeace.

Di certo, si continuerà a lottare per «il diritto di tutti gli indiani ad avere aria ed acqua pulite, alimenti sicuri e di un ambiente vivibile e sano. E soprattutto per il diritto di parola, di non essere d’accordo con i governi e le corporations», citando Ashish Fernandes, Climate Compaigner di Greenpeace India.

 

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