Leggiamo e non comprendiamo dove si proponga di “rendere obbligatorio” il 25% di biologico nel Farm to Fork (F2F). Come ogni strategia politica il Farm to Fork (dalla fattoria alla forchetta, meglio che non dal campo alla tavola), che è la declinazione agricola del EU Green Deal, parte dall’analisi del contesto e definisce degli obiettivi. A politica attuata (nel mentre ed alla fine) si vanno poi a valutare se gli obiettivi sono stati raggiunti oppure no e le ragioni per cui, in caso, non lo sono stati. Ecco, il 25% di SAU bio è l’obiettivo, ponderato e ragionato, sotteso da ampia consultazione dei cittadini, così come il piano d’azione per il biologico pubblicato il 25 marzo. Ora, su quell’obiettivo debbono convergere i diversi strumenti politici, come la PAC, il PSR, ma anche quelli che orientano gli acquisti pubblici, la formazione ed anche i regimi fiscali.
Perché il bio: perché è il sistema più completo e maturo per raggiungere gli obiettivi ambientali, sociali ed economici che la Commissione si pone (biodiversità, protezione dell’acqua, dell’aria, del suolo, adattamento al cambiamento climatico e mitigazione, opportunità di continuare ad esistere per le piccole e medie aziende agricole, salute pubblica attraverso la prevenzione, ecc.). Vero che esistono anche altre forme di agricoltura che possono contribuire a tali finalità, sempre riportate nel F2F, ovvero riduzione del 50% dell’uso di fitofarmaci, del 50% le perdite legate all’errato uso dei fertilizzanti e del 20% l’uso dei fertilizzanti di sintesi, del 50% l’uso dei farmaci in allevamento (da cui il grosso problema della resistenza agli antibiotici!) entro il 2030, però il bio è in grado di coglierle tutte assieme ed è ciò che i cittadini europei, italiani e friulani chiedono. Infatti, sono proprio i cittadini, nella loro veste di consumatori, che chiedono sempre più bio e sempre più locale. Nell’ultimo anno il mercato del biologico italiano ha fatto un balzo in avanti di due cifre percentuali, includendo molta vendita, diretta o collettiva o mediata, degli agricoltori bio locali, quindi io direi piuttosto che il F2F è una (delle poche) bella implementazione di democrazia alimentare che diventa anche agricola per chi sa cogliere l’opportunità.
Ecco qual è invece il vero paradosso: che in Friuli Venezia Giulia si consuma molto più bio di quanto se ne produca, quindi ben vengano strumenti politici che contribuiscano a trasformare questa sfida in opportunità per le aziende agricole ed i nostri conterranei tutti.
Comunque, l’onorevole Lizzi non può non sapere che è proprio l’agricoltura convenzionale che poggia sull’importazione di materie prime da altri continenti. Ciò è drammatica realtà per pasta, e prodotti da forno e ancor di più per tutta la zootecnia che si “mangia” le foreste dell’America Latina e quelle a cavallo tra Europa e Asia.
Il 25% entro il 2030 per l’Italia è più che raggiungibile, visto che partiamo da oltre il 16% e non serve nessun cambiamento normativo, basta la capacità e la volontà: studiare (sì, il bio è molto intensivo in termini di conoscenza!), guardarsi attorno e partecipare al cambiamento in atto.
Stia serena la nostra rappresentante al Parlamento Europeo, che anche se dovessimo produrre un po’ di meno adottando le pratiche del bio non moriremmo di fame, dato che il nostro problema, come cittadini europei, è diventato piuttosto l’obesità e la malnutrizione e, come cittadini del mondo, la distribuzione e l’accesso al cibo, oltre allo spreco alimentare. Proprio il sistema dell’agricoltura biologica, che implica rispetto della stagionalità, consapevolezza delle scelte, aiutata dall’etichettatura che riporta la provenienza delle materie prime (obbligatoria per i prodotti bio), educazione ambientale e alimentare, è uno degli strumenti più efficaci per mangiare bene, mangiare tutti, oggi e in futuro.
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