In un articolo scritto di recente per la rivista The Ecologist, Dave Goulson (professore di Scienze Biologiche presso l’Università di Sussex e grande conoscitore della biologia dei bombi e delle api) ha evidenziato quanto drammaticamente le nostre api e gli agroecosistemi siano stati danneggiati nel tempo dall’uso ostinato di neonicotinoidi, la classe di pesticidi più usata al mondo. Il professore attribuisce all’attuale modello agricolo industriale, basato su coltivazioni intensive e sul ricorso a notevoli quantità di input agrochimici, la responsabilità del deterioramento che sta subendo il mondo degli animali in un contesto rurale sempre più spoglio di fiori e sempre più impregnato di pesticidi.
Negli ultimi anni si sono susseguiti numerosi studi scientifici che hanno confermato l’azione nociva dei neonicotinoidi sulle api.
Nel 2012 lo stesso Dave Goulson in collaborazione con il Dottore di ricerca Penelope Whitehorn ha pubblicato su Science uno studio che ha riscontrato come l’esposizione delle api a dosi di neonicotinoidi paragonabili a quelle impiegate nei campi causi una riduzione massiccia delle colonie di api e un calo dell’85% della produzione di nuove api regina.
In concomitanza al lavoro inglese, nella stessa rivista venne pubblicato un altro articolo realizzato da un gruppo francese che ha evidenziato una correlazione negativa tra l’esposizione a queste sostanze chimiche da parte delle api e il loro senso dell’orientamento nel periodo dell’impollinazione: lo smarrimento di un certo numero di api può, infatti, portare al collasso delle colonie.
Come è possibile, allora, che, di fronte a numerose inequivocabili evidenze scientifiche che provano la pericolosità dei neonicotinoidi per le api, questi pesticidi siano ancora in commercio e così ampiamente utilizzati?
Una ragione è probabilmente da rintracciare nella modalità inadequata con cui viene intrapreso il processo regolatorio da cui dipende l’autorizzazione alla commercializzazione di queste sostanze, modalità che non prende in considerazione la minaccia che questi pesticidi rappresentano per le api.
Facendo un salto indietro, nel 2013, l’UE lanciò un appello all’Autorità Europea che si occupa di Sicurezza Alimentare, l’EFSA, chiedendo di avviare un lavoro di revisione sulla sicurezza di questi pesticidi. Dopo 6 mesi, a Gennaio del 2013, l’EFSA annunciò che i neonicotinoidi costituiscono “un rischio inaccettabile” per le api.
A queste dichiarazioni ufficiali fece seguito una moratoria sull’uso dei neonicotinoidi approvata dal Parlamento Europeo. Questa decisione scatenò una feroce contestazione da parte dei grandi gruppi lobbisti, critiche menzoniere da parte del mondo scientifico e diffuse lamentele sull’impatto negativo che l’abolizione dei nenicotinoidi avrebbe avuto sulla resa dei raccolti.
L’Italia con altri otto paesi, tra cui Gran Bretagna, Portogallo e Austria, espresse un voto contrario alla moratoria. Il Segretario di Stato inglese per l’Ambiente, Owen Patterson, promise addirittura il suo appoggio all’azienda svizzera Syngenta.
A Dicembre del 2013 la moratoria diventò effettiva con validità però temporanea (solo due anni!) e parziale: questa sancisce, infatti, solo il divieto di utilizzo dei tre neonicotinoidi più usati (clotianidin, imidacloprid e tiametoxam) sulle coltivazioni da fiore (come la colza, il mais, il girasole) che attraggono maggiormente le api, il divieto di utilizzo prima della fioritura in nessun modo (neanche per il rivestimento delle sementi), ma ne consente l’utilizzo dopo la fioritura su colture in serra, per quelle invernali, come i cereali invernali (che sembrano non esercitare alcuna influenza sulle api), sulle colture da orto, nei giardini e sugli animali domestici (con azione anti-pulci).
A breve, bisognerà prendere una decisione sulla possibilità di prorogare o meno questa moratoria la cui scadenza è prevista per la fine di questo anno.
Nel frattempo, nuovi risultati sulla pericolosità di questi neonicotinoidi provengono dal mondo scientifico. Tra i lavori resi pubblici nei primi mesi del 2015 ci sono oltre questo, anche i due lavori menzionati (1 e 2) in BioagricolturaNotizie dello scorso 9 maggio. Questi studi suggeriscono che dosi realistiche, paragonabili a quelle impiegate nei campi, di questi neonicotinoidi condizionano in modo controproducente la fertilità, la mortalità, la raccolta di polline, la suscettibilità alle malattie e l’efficienza “lavorativa” dell’intera colonia di api.
Molti scienziati concordano con l’idea che i sistemi regolatori attualmente in vigore per i pesticidi trascurano gli effetti subletali, cronici e l’esposizione simultanea a molteplici pesticidi e a diversi fattori di stress non riuscendo a riprodurre in maniera veritiera quello che accade nel mondo reale.
Se si guarda il problema da una prospettiva più ampia, un altro lavoro suggerisce che il dibattito su questi pesticidi va al di là della questione delle api perchè queste sostanze tendono ad accumularsi nel suolo e a persistere in esso per diversi anni, sono capaci di raggiungere quotidianamente i sistemi di acqua dolce e si depositano persino nelle piante selvatiche che crescono ai margini dei campi. Anche il declino degli insetti acquatici, degli uccelli insettivori e delle farfalle non è disconnesso dalla presenza negli ecosistemi di questi erbicidi, come evidenziato da un altro complesso lavoro di revisione pubblicato nel 2014 nella rivista Environmental Science & Pollution Research e come diffuso dall’EASAC all’interno di questo recentissimo dossier.
In che modo la moratoria abbia effettivamente migliorato il numero della popolazione di api non è possibile stabilirlo perchè, purtroppo, non è mai stato fatto uno studio opportuno di monitoraggio nel corso di questi due anni.
Questo dibattito sulle api si intreccia inevitabilmente con argomenti di enorme rilevanza, quali la sostenibilità e la produzione di cibo. Esiste un modo per nutrire il pianeta senza rischiare di cancellare la biodiversità del pianeta Terra, senza impoverire i terreni e inquinare i vari ecosistemi? Se il moderno sistema di coltivazione non è in grado di sostenere le api, come è possibile che sia capace di sostenere noi essere umani a lungo termine?
di Maria Barletta
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