Non è consuetudine di ISDE Italia (Medici per l’Ambiente) esprimere valutazioni in merito alle dichiarazioni pubbliche di rappresentanti della politica e delle istituzioni. Quando però le dichiarazioni inquadrano i fatti in modo distorto e al tempo stesso pretendono di fornire indirizzi che attengono alla salute pubblica e alla tutela dell’ambiente, l’attenzione di ISDE Italia viene inevitabilmente sollecitata. Il commento a firma di Elena Cattaneo (“Gli equivoci sul glifosato”), pubblicato il primo dicembre 2017 su Repubblica, elenca una serie di pregiudizi e di semplici opinioni sugli effetti sanitari e ambientali dell’erbicida più diffuso al mondo che non coincidono nel modo più assoluto con le conoscenze attualmente disponibili; il tutto, accompagnato da un concentrato di nozioni sull’agricoltura sostenibile (biologica e biodinamica) che lascia francamente sconcertati. L’innovazione del futuro, sostiene l’autrice, coinciderebbe con l’impiego universale di OGM, capaci di risolvere in un colpo solo la moltitudine di temibili sfide con cui l’agricoltura dovrà fare i conti, dal cambiamento climatico all’erosione della biodiversità, fino alla piaga della denutrizione e chissà cos’altro ancora. Non una parola viene spesa circa la necessità 1) di sviluppare un approccio sistemico nelle policy per l’agricoltura e 2) di implementare un uso sostenibile delle risorse naturali e delle matrici ambientali nelle pratiche agricole. Naturalmente, per quanto discutibili, le opinioni personali sarebbero del tutto legittime se non fossero visibilmente travestite da prescrizioni scientifiche: il commento, infatti, viene firmato dalla senatrice indossando il “camice bianco” (farmacologa è la qualifica che compare in calce oltre a quella istituzionale). Su questo improbabile tentativo di fornire indicazioni corredate di certificazione scientifica è il caso di esprimere più di una perplessità e almeno un chiarimento, al fine di evitare che, nello scorrere il commento, il lettore scambi lucciole per lanterne e abbia la tentazione di prendere sul serio la lunga lista di inesattezze che l’autrice fa proprie. La letteratura scientifica ha cominciato a occuparsi dei danni biologici e sanitari del glifosato alla fine degli anni Settanta, quando la molecola erbicida aveva un mercato marginale e la sua diffusione non era ancora stata ingigantita dalle colture ingegnerizzate per la resistenza ai suoi effetti tossici. Grazie alle prime indagini nord-americane e australiane condotte su organismi impiegati come bioindicatori (gruppi particolari di invertebrati e vertebrati), si cominciò a comprendere che la presunta innocuità del prodotto, propagandata a tambur battente dall’industria, necessitava di una radicale rettifica, soprattutto nei formulati commerciali (come il Roundup) contenenti il surfattante POEA. Da allora, le indagini sui rischi ecologici e sanitari indotti dall’utilizzo sempre più diffuso dell’erbicida sono aumentate esponenzialmente, tant’è che alcuni anni fa il glifosato è entrato nel mirino della commissione IARC (la massima agenzia mondiale per la ricerca sul cancro) deputata a proporre e realizzare, attraverso una lunga e articolata procedura di “candidatura e revisione”, una valutazione dei dati tossicologici ed epidemiologici sulla cancerogenicità del composto. Oggi il glifosato si trova al centro di un’accesa disputa internazionale che vede molti ricercatori e associazioni impegnati a bandirne la commercializzazione e gli usi agricoli ed extra-agricoli, non solo per la sua probabile cancerogenicità umana (linfoma non-Hodgkin) decretata da IARC nel 2015, ma anche per la sua tossicità endocrina, neurologica e riproduttiva, nonché per la sua ben nota ecotossicità.
È evidente che l’eventuale eliminazione del glifosato dal mercato globale dei pesticidi spingerebbe l’industria a sostituirlo con altri prodotti, sulla carta anche più tossici dell’originale. Ma il nodo della questione è proprio questo: il bando del glifosato dovrebbe rappresentare un primo passo verso la progressiva rimozione dei veleni di sintesi dalle pratiche agricole e zootecniche, così come da ogni altro settore in cui i parassiti possono essere controllati con metodi alternativi, non tossici e meno costosi. È difficile capire da dove tragga le informazioni sugli impatti del glifosato la senatrice-farmacologa Cattaneo, certamente non dalla letteratura scientifica indipendente, che sull’argomento specifico è disponibile in quantità. In ogni caso, è poco consigliabile riproporre continuamente, come fonte primaria di dati, il report sui rischi del glifosato prodotto dall’EFSA, in quanto, com’è noto, si tratta in buona parte di un documento copiato da materiali forniti dall’industria, che certamente non rientrano nel novero degli studi scientifici indipendenti. Per concludere, poiché nessuno dubita della buona fede con cui è stato scritto il commento, c’è da dubitare della reale conoscenza degli argomenti cruciali che in esso vengono trattati, sui quali la senatrice-farmacologa continua a dispensare opinioni personali e ricette risolutive del tutto infondate.
Associazione Medici per l’Ambiente – ISDE Italia
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