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Il bisogno di accorciare le distanze, di abbattere le barriere e velocizzare lo scambio di idee, merci e conoscenze rischia sempre più di favorire gradualmente l’omologazione delle diverse identità territoriali, sociali e culturali che caratterizzano e rendono unico ogni singolo angolo del pianeta. Logiche di mercato e interessi privati sembrano guidare in modo prevalente scelte produttive e di consumo nel Nord come nel Sud del mondo, a danno delle specificità locali, dei saperi tradizionali e, non ultimo, del reddito degli agricoltori.

In Europa, e in Italia in particolare, l’assioma della biodiversità e più specificatamente dell’ agrobiodiversità, ha rappresentato il caposaldo di molte battaglie finalizzate a contrastare questa spinta all’omologazione. Da sempre, abbiamo tutelato la conservazione dei sistemi agricoli tradizionali per salvaguardare le varietà locali minacciate dall’industrializzazione e per valorizzare la manodopera contadina capace di garantire sovranità e sicurezza alimentare. Dal mese di agosto 2013 un importante negoziato internazionale sembra tuttavia andare in una direzione opposta: i colossi USA e UE hanno avviato una serie di tavoli di discussione per l’apertura di un mercato di libero scambio tra le due coste atlantiche, il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership).
Fino ad oggi il negoziato si è svolto in segretezza, nonostante la Commissione sotto la pressione della società civile, di tanto in tanto abbia pubblicato alcuni documenti sulla trattativa in corso, per lo più irrilevanti a fini di una sua effettiva comprensione. La segretezza con cui si sono sviluppate fino ad ora queste negoziazioni sembra una prova di quanto si vogliano evitare contestazioni in questa fase e favorire quindi, nel più breve tempo possibile, modelli regolativi più blandi per quanto riguarda la protezione dei consumatori e dell’ambiente, a vantaggio dell’aumento dei flussi di merci da un punto all’altro dell’atlantico.
Il TTIP è una negoziazione per un accordo che punta all’abbattimento di tutte quelle tariffe e leggi che hanno regolamentato finora gli scambi commerciali tra Stati Uniti e Europa per snellire e rendere più facile lo scambio di tutti i beni di consumo (tra cui, ovviamente, i prodotti alimentari e agricoli). L’Europa giustifica la sua partecipazione a questa negoziazione in termini economici, decisamente discutibili, reputando il TTIP uno strumento per aumentare i profitti e superare la crisi.
Numerosi movimenti sociali che in tutto il mondo stanno sensibilizzando cittadini e policy makers su questo tema, sostengono però che questa spinta liberista agevolerebbe l’ingresso in Europa di prodotti alimentari la cui sicurezza e qualità, rispondono a normative e a standards lontani da quelli in vigore in Europa (OGM, carne imbottita di ormoni, concentrazioni eccessive di antibiotici, pesticidi nei mangimi o nell’alimentazione umana, polli igienizzati con cloro sono solo alcuni esempi), erodendo in un battito di ciglia anni di conquiste in termini di protezione dei consumatori.
La sovranità alimentare di ogni singolo territorio, la qualità del nostro cibo e il diritto degli agricoltori di non essere intrappolati nella logica meramente opportunistica della concorrenza internazionale rischierebbero di essere così penalizzate a favore di un modello di agricoltura industrializzata, asservita ai bisogni delle esportazioni e della grande distribuzione oltre che dell’industria agroalimentare.
Inoltre, questo trattato riconosce ad aziende private di qualsiasi tipo la facoltà di richiedere un risarcimento, attraverso gli ISDS (Investor-State dispute settlement, che in italiano letteralmente si tradurrebbe come Risoluzione delle controversie tra investitore e Stato), davanti ad un tribunale arbitrale privato, qualora una Regione, uno Stato o una collettività territoriale varino una legge in contrasto con i loro interessi o che danneggi i profitti dell’azienda in questione. E’ innegabile che in questo modo il potere delle multinazionali si vada consolidando a discapito della tutela degli interessi della collettività.
Non solo. Tutto il sistema di denominazione che sancisce la qualità e l’origine dei prodotti agricoli e alimentari tipici del territorio (DOP, IGP e STG) potrebbe essere messo a repentaglio e anche la modalità con cui viene gestito l’allevamento bovino in UE subirebbe l’influenza di quello americano. Il diritto dei contadini di utilizzare e scambiare sementi potrebbe anch’esso essere ulteriormente compromesso a favore delle multinazionali delle sementi e le stesse politiche pubbliche (in particolare quelle agricole) sarebbero sempre più subalterne agli interessi dei privati.
Lo scorso 13 gennaio, il Parlamento Europeo ha approvato il testo che riconosce agli Stati membri la libertà di limitare o abolire le coltivazioni OGM nei propri territori. Vincenzo Vizioli, presidente dell’AIAB, ci invita a riflettere su quali saranno le ricadute a lungo termine sul biologico, richiamando l’attenzione sulla modalità subdola con cui gli autori del TTIP si stanno adoperando per imporlo. No pasaran, si diceva un tempo. Ne va della tutela di quanto ci è caro, tra biologico e diritti delle comunità.

Per approfondire l’argomento è possibile consultare i seguenti siti in inglese: http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/, http://corporateeurope.org/international-trade, http://www.foeeurope.org/EU-US-trade-deal

 

A cura di Miryam Barletta e Dalila D’Oppido