Mentre il problema degli ulivi nel Salento ha assunto grande rilevanza mediatica, due elementi sostanziali vanno sottolineati : – non c’è ancora una precisa cognizione scientifica condivisa del problema in termini qualitativi e quantitativi –le drastiche soluzioni proposte dal commissario Silletti, potranno forse rallentare, ma difficilmente fermare, l’espansione dell’epidemia a nord del Salento. Gli interventi, già in buona parte eseguiti, prevedono su una fascia di territorio, una sorta di linea Maginot a nord di Oria, da un lato lavorazioni diffuse (erpicature, arature ecc.) entro il mese di maggio per eliminare la vegetazione erbacea necessaria al vettore (Philaenus spumarius, la comune “sputacchina”) , dall’altro eradicazioni selettive (secondo Silletti comunque limitate nel numero). Da maggio in poi però il vettore andrebbe combattuto, secondo il piano, trattando con insetticidi di sintesi (è facile prevedere l’impiego di neonicotinoidi, fosforganici e piretroidi) che, applicati in modo massiccio, inevitabilmente porteranno ad alterazioni degli agroecosistemi oltre che a rischi sanitari.
Il recente documento di EFSA non porta grandi novità rispetto a quello di gennaio e sostanzialmente dà l’avvallo alla strategia di Silletti: i funghi tracheomicotici, pur se associati a Xylella e ad altri agenti patogeni nella sindrome CoDiRo (Complesso di Disseccamento Rapido dell’Olivo) non ne sono la causa primaria. Pertanto, pur non escludendo l’effetto positivo delle buone pratiche di coltivazione, quali potature, lavorazioni (e non diserbo chimico), risanamento ferite con prodotti rameici, il problema nel mirino rimane principalmente Xylella fastidiosa: EFSA si mostra scettica sulla possibilità di eradicarla dalla zona focolaio del Salento, e quindi suggerisce il ricorso a un insieme di misure di contenimento (impedire il movimento di piante infette o di insetti vettori infetti; eliminare le piante infette; controllare con insetticidi gli insetti vettori ed effettuare una corretta gestione della vegetazione circostante) allo scopo di prevenire o rallentare la diffusione dell’organismo nocivo alle zone limitrofe e poi ad altri territori.
A questo punto entra in ballo il mondo della ricerca che propone, tra le varie cose, tecnologie innovative basate sull’uso di nanoparticelle per una azione curativa (in pratica una endoterapia evoluta).
E’ importante però salvaguardare le aziende biologiche non obbligandole ad abbandonare la certificazione, ma appoggiandole, laddove necessario, ad eseguire trattamenti con gli insetticidi consentiti in biologico (piretro naturale, neem ecc.) .
Ad oggi si parla ancora poco del futuro dell’olivicoltura, (nel Salento ma anche altrove), nel caso disgraziato che il problema Xylella dovesse sfuggire di mano, ma sottotraccia è sempre più forte la spinta verso la diffusione in Italia degli oliveti superintensivi, cioè un modello di olivicoltura completamente diverso dalla tradizione, basato su impianti fitti, ultra-meccanizzati, ad alto impiego di pesticidi e di vita utile limitata a pochi anni. Le varietà adatte a questo modello, a sviluppo contenuto, sono pochissime e non sono italiane.
Molto più interessante, in ottica agro-ecologica e di salvaguardia della biodiversità e degli stupendi paesaggi olivicoli italiani è la proposta di realizzare, proprio in Salento, un grande campo-catalogo delle numerosissime varietà olivicole presenti in Italia: qualcuno ha parlato di un nuovo “Getsemani”, importante per salvaguardare e potenziare la biodiversità olivicola ed individuare all’interno delle tante varietà italiane e pugliesi quelle più resistenti o tolleranti a Xylella, ripartendo da lì per i nuovi impianti.
Occorre inoltre privilegiare nella ricerca lo studio e la messa a punto di metodi rigenerativi delle autodifese della pianta (e quindi le corrette pratiche agronomiche della coltivazione dell’olivo, tra cui l’equilibrata concimazione organica in luogo degli apporti eccessivi di azoto) e abbandonare del tutto l’impiego dei diserbanti (leggi GLIFOSATE) per tenere puliti gli oliveti , con la conseguenza di aver impoverito o fortemente deviato l’ecosistema microbiologico del terreno con probabili conseguenze sia sullo stato sanitario generale delle piante, che, secondo alcune ricerche, sulla qualità e tipicità degli olli ottenuti da olivi secolari, influenzati e caratterizzati da simbiosi micorrizziche “antiche”. )
Piaccia o meno, con la Xylella bisognerà imparare a convivere, e il futuro dell’olivicoltura in Italia starà nell’ l’agro-ecologia (e nell’agricoltura biologica), nella ricchezza di paesaggi olivicoli diversi, di olii tipici da salvare e promuovere nel mondo
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