Che le poste economiche previste per l’agricoltura biologica da gran parte delle Regioni non fossero sufficienti a sostenere lo sviluppo annunciato del settore, così come una strategia d’indirizzo politico organizzata e gestita, per rispondere alla domanda in crescita, lo avevamo denunciato sin da subito. Abbiamo anche lanciato l’allarme verso differenziali di premio tra biologico e integrato poco significativi anche rispetto al dettato del regolamento UE sul PSR.

L’ISMEA, istituto del Mipaaf, nei suoi lavori all’interno della Rete Rurale Nazionale ha confermato che le Regioni non hanno creduto nel biologico, avendo messo risorse per garantire al massimo lo status quo (10% della SAU nazionale) e rendendo la misura 11 (agricoltura integrata) più allettante della 10 (introduzione e sostegno al biologico) perché con le misure aggiuntive, in gran parte negate al bio, risulta molto più facile raggiungere il premio massimo a ettaro.

Oggi il nodo creato dall’ottuso ostracismo dei tavoli verdi regionali che continuano a tenere fuori le istanze dei produttori biologici e chi li rappresenta veramente, è arrivato al pettine. I soldi sono insufficienti e spuntano le graduatorie, spesso con criteri opinabili, che terranno fuori molte aziende dal sostegno alla conversione. Eppure non ci voleva la laurea in economia politica per capire che con il grano a 0.16 €/kg, il latte ben sotto i 0.40 €/l, il pomodoro a 0.05 €/kg, a fronte di una crescita della domanda di prodotti bio del + 21% e un mercato ben più remunerativo, ci sarebbe stato uno spostamento molto significativo verso un settore emergente.

A questo si aggiunge la vergognosa gestione dei pagamenti da parte di AGEA, tanto incapace da essere la copertura dietro la quale si nascondono le inefficienze degli uffici Regionali. Così quando si indaga sui ritardi, ormai cronicizzati, di pagamento, ci si trova rimpallati dalla Regione che dice che AGEA non fa graduatorie e AGEA che dice che è la Regione a non aver completato le istruttorie. Fatto sta che chi si è fatto dare l’anticipo in banca, si trova a pagare interessi su interessi e, tra poco, potremo dire che il PSR non premia le aziende ma le banche. Si salvano per fortuna le aziende che ricadono in Regioni che hanno un proprio organismo pagatore.

Ma i problemi non si fermano alle misure a superficie, perché mediamente i PSR stanno diventando un caso studio di burocrazia che provoca ritardi enormi e vede dirigenti e funzionari esibirsi in bandi, spesso modificati in corso d’opera con determinazioni dirigenziali, per cui non si vede la via di uscita. Così troviamo l’obbligo di formalizzare l’ATI provvisoria dal notaio solo per presentare un progetto, che dovrà essere rifatta in caso di approvazione e stracciata in caso di bocciatura; la proroga continua con accorpamento di più bandi sulla stessa misura che penalizza chi invece ha lavorato nei tempi; la richiesta di manifestazione di interessi per capire i temi su cui lavorare sul bando innovazione, quando siamo ormai al terzo anno di programmazione; tetti massimi di premio che si alzano a cifre iperboliche così che solo tre aziende impegnano l’intero budget, per poi riabbassarsi ma con regole diverse in modo che anche il primo degli esclusi non possa ropresentare la domanda ma dovrà rifare ex novo il progetto; criteri di graduatoria che danno priorità alle grandi aziende, dimenticando gli acquiferi sensibili, le aree parco, i giovani, le donne e anche che chi si converte deve essere il vero incentivato. Potremmo continuare all’infinito a raccontare di queste amenità per riderci su, se per le aziende non fosse un vero e proprio dramma.
Se poi vogliamo completare il quadro desolante, aggiungiamo che anche la PAC con le norme attenuate del greening mette sullo stesso piano chi usa tecniche utili al contrasto dei cambiamenti climatici e chi invece, contribuisce a provocarli.

Siamo in fase di health check per la PAC e tra poco per i PSR. Apriamo al nostro interno e con le associazioni di settore e ambientaliste, i consumatori e chi ha a cuore lo sviluppo sostenibile del modello agricolo un serio confronto per costruire la nostra proposta. La riforma della PAC deve essere l’occasione per far pesare le scelte fallimentari delle politiche agricole attuate fino ad oggi, rispetto alla salute e all’ambiente ed evitare che ancora si riproponga una PAC senza impegni per chi inquina ma che premi anche in base ai risultati chi usa il metodo biologico.
Vincenzo Vizioli